Aspetti giurisdizionali sportivi e penali del doping

Il termine doping viene dal verbo inglese to dope (drogare) e rende perfettamente l’idea di ciò in cui effettivamente consiste, cioè la pratica per la quale sono somministrate a un atleta, o assunte volontariamente da parte di quest’ultimo, sostanze proibite dai regolamenti (eccitanti, anabolizzanti), allo scopo di accrescere artificiosamente e slealmente il rendimento fisico nel corso di una competizione.
Fatta tale breve premessa si deve tenere conto che, ad oggi, ai fini competitivi è considerato doping anche l’assunzione di taluni farmaci, talvolta necessari e per i quali è necessaria espressa autorizzazione da parte degli organi sportivi competenti, come pure l’assunzione di integratori alimentari con un dosaggio superiore a quello consentito.
A livello etico, doparsi è considerata una pratica assolutamente deprecabile, giacché falsa una competizione che dovrebbe, nella normalità dei casi, svolgersi senza “aiutini” da parte della chimica.
Sotto il profilo legale, il doping costituisce illecito sportivo e reato penale.
Circa l’illiceità sportiva, il CONI, già dal 1988, intese disciplinare l’uso di dette sostanze e della pratica del doping, stabilendo diverse sanzioni (dal pagamento di ammende a sospensione e radiazione) da applicare in caso di inosservanza. Nel 1997 venne istituito il Coordinamento Centrale delle attività antidoping, la commissione scientifica e la commissione d’indagine finalizzate ai controlli ordinari e a sorpresa, alla ricerca scientifica ed alla repressione. A livello internazionale il CIO ha espressamente attraverso la WADA (World Anti-Doping Agency) emanato una lista dettagliata delle sostanze proibite che si aggiunge, naturalmente a quella stilata dalle varie Agenzie nazionali (in Italia l’AIFA) riguardo farmaci e molecole notificate.
Ciò che appare interessante sottolineare è che negli ordinamenti moderni l’utilizzo di sostanze dopanti oltre ad essere punito come illecito sportivo è qualificato dalla legge come reato.
In Italia, è stata la legge n. 376 del 2000 (Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping), attuativa della Convenzione contro il doping di Strasburgo del 16 novembre 1989, ad introdurre nell’ordinamento italiano il reato di doping. L’art. 9 della detta legge punisce con la reclusione da 3 mesi a 3 anni e con la multa da euro 2.582 a 51.645, esso recita: chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricomprese nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze. Con la stessa pena, il comma 2 del medesimo articolo punisce chi adotta o si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi previste all’articolo 2, comma 1.
Un punto importante è che il soggetto attivo del reato di doping può essere non soltanto l’atleta tesserato che fa uso di sostanze dopanti o l’allenatore, il preparatore atletico, il medico sociale o l’ufficiale di gara che gliele somministra, ma anche qualsiasi altro soggetto, ancorché estraneo al mondo dello sport. Ciò si pone in piena coerenza con quello che è il trend attuale che prevede anche fattispecie del così detto doping estetico.
La fattispecie del doping è costruita come reato di pericolo: l’assunzione delle sostanze vietate costituisce, di per sé, un rischio per la salute, che rende pertanto punibile la condotta a prescindere dal verificarsi di un qualche danno effettivo.
Il dolo del reato di doping consiste nella coscienza e volontà di procacciare o assumere le sostanze o i farmaci vietati, ovvero di adottare o sottoporsi a pratiche mediche vietate, e della loro idoneità ad alterare le condizioni psicofisiche dell’atleta (o a eludere i controlli), con l’ulteriore consapevolezza e volontà (dolo specifico) di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.